Dedicata a mia suocera
MARIA

 

Maria in questi giorni ti sto pensando molto, sento tanto la tua mancanza ma in modo diverso da quella di altre persone che ho amato e non sono più con me.
Ti conoscevo ancora poco quando arrivò il momento di sposarmi e versai tante lacrime sapendo che avrei vissuto nella tua stessa casa, anche se ognuna per conto proprio. Sarei potuta arrivare all’altare in canotto.
Sai, temevo tu fossi una "suocera" come ne ho viste tante: impicciona, curiosa, criticona, caratteristiche tipiche di molte suocere.
Ho amiche e conoscenti  “mortificate” perché non libere di muoversi come desiderano, non libere di fare una telefonata senza che la suocera apra la porta ed entri in casa, non libere di riporre nei cassetti la biancheria come credono, non libere di educare i figli come desiderano perché LEI, avendo più esperienza, ritiene giusto elargire consigli, dettami anche se non richiesti.
E io temevo mi fosse riservato tutto questo, ma quante lacrime ho versato inutilmente carissima mia seconda mamma!
Allora non ti conoscevo a fondo e i miei timori erano dettati solo dal racconto dell’esperienza altrui.
Ho vissuto accanto a te 10 anni, tempo che ha sfumato le mie “manie” per la casa, tipo "non uscire con la famiglia se non prima di aver riordinato tutto, pulito e stirato" ecc. ecc..
Mi hai fatto capire che è importante “ritagliare” un po’ di tempo da dedicare a noi stesse; ti trovavo seduta mentre lavoravi a maglia, nessuna preoccupazione per i piatti che avevi lasciato da lavare “non cade il mondo” mi dicevi … restano lì, provvederò questa sera o domani.
Come è vero! Non cade il mondo se ci si prende un po' di tempo da dedicare agli hobby che ci piacciono.
Erano giovani le tue idee, aperta la tua mente malgrado l’età e comprendevi benissimo i disagi e l’impegno necessari per “mandare avanti una famiglia”.
Sei stata mia complice quando, perso il lavoro dopo la nascita del mio primo figlio, mi esortavi a trovarne un altro perché mi avrebbe dato la possibilità di sentirmi realizzata professionalmente e il tempo dedicato a mio figlio sarebbe stato oggettivamente minore ma sicuramente migliore in qualità.

Vagava la tua mente tra i ricordi del passato mentre cresceva il lavoro a maglia, mi sedevo accanto a te e ascoltavo rapita il racconto della tua vita, la tua giovinezza, ciò che da bambina avresti voluto fare e che non fu possibile realizzare.
Avevi una bella voce e mi raccontavi che avresti desiderato frequentare una scuola di canto, ma oltre al denaro che non era sufficiente avrebbe pesato anche il malevolo giudizio dei "conoscenti" sapendoti lontana da casa. Una donna lontano da casa. Una donna che desidera imparare a cantare. No.
Le donne!!! perché mai dovevano essere istruite? Il loro destino era la casa, i figli e il lavoro nei campi.
Restasti delusa a lungo per questa negazione e il tuo sogno restò nel cassetto.
Poi il matrimonio, il lungo periodo trascorso in casa con la suocera, i figli da crescere, la guerra che fece partire tuo marito che non vedesti per lungo tempo e i figli erano già tanti.
Alla fine …… ben 13 furono le bocche attorno al tavolo.
La convivenza in famiglia ti fece capire che le suocere dovevano stare al proprio posto e sufficientemente lontane, hai fatto tesoro del tuo vissuto e, nella tua parte di suocera, nulla hai riversato sulle nuore e sui generi.
Che senso di libertà avevo…. ci separava una scala, l’entrata era in comune, le chiavi di casa mia erano appese al muro della tua cucina. Entravo, salutavo rubacchiavo qualcosina dai vostri piatti mentre pranzavate: una patata, una forchettata di spaghetti o un pezzo di pane.
Lasciavo le chiavi e me ne andavo salutandovi e al ritorno era un piacere riaprire quella porta; avrei potuto, come fan tanti, portare le chiavi di casa con me, ma quell’abitudine era gradevole mi sentivo tranquilla sapevo che non saresti mai salita in casa senza dirlo.
Mi ripeto, lo so, ma 10 anni con te han contribuito ad aumentare la soglia della mia tolleranza, della pazienza; si son aggiunti gradini alla scala che conduce alla rabbia, piccoli scalini che segnavano e segnano ancora le priorità per cui perder la pazienza, arrabbiarsi con i figli, al lavoro, nella vita in genere.
Una scala importante.
Ho compreso l’inutilità della parola “SE” ….. per un evento successo:  se avesse fatto, se avesse detto, se fosse andato, se avesse pensato……

Il “SE” non serve più, ormai è successo, più importante è riprendere in esame ciò che è accaduto cercando di rivederlo a 360° senza colpevolizzarsi, senza puntare il dito contro qualcuno e trarne il dovuto insegnamento.
Nessuna critica se i bambini, giocando, si sporcavano “è il loro mestiere” dicevi, son belli anche così.

E io, Maria, con i miei figli ho cercato di adottare la stessa tolleranza insegnando, al tempo stesso, il rispetto per le cose sia proprie che di altri e per le persone.
Faticoso porre fine a questo mio parlar di te, ricordo che anche tu tenevi un diario nel quale fermavi momenti della tua vita e fu grande la soddisfazione che provai quanto mi rendesti partecipe dei tuoi ricordi.
Non credevo ai miei occhi leggendo, i termini usati nel raccontarti non erano propri di chi non ha potuto studiare e partecipavo, sfogliando, alla rabbia provata da te quanto non ti fu permesso di continuare gli studi. Chissà Maria che saresti diventata…..
Poi, nel 1985 mio padre se ne andò ed io, assieme a tuo figlio, decidemmo che non si poteva lasciare sola mia mamma e cambiammo casa. Tornai da dove ero venuta ma anche li avevamo un appartamentino nostro, pur sempre nella medesima abitazione.
Tu non rimanesti da sola perché arrivò un altro figlio con la sua famiglia dove vivevo io e un altro ancora era nell'appartamento a fianco.
Non fu davvero facile lasciarVI.
Poi gli anni passarono tuo marito ti lasciò e, come quando perdesti un figlio di vent’anni, fu ammirevole la rassegnazione nell’affrontare l’evento.
Una rassegnazione sorretta da una grande fede, una fede che non mi ha mai soffocata perché non imponevi nulla del tuo credo.
Credente non bigotta.
Nel periodo in cui iniziasti a stare poco bene ed era necessario starti accanto 24 ore su 24 i tuoi figli e le nuore si alternavamo in una sorta di turno programmato affidando, ad una vecchia agenda, appunti che riferivano il tuo stato d’animo, le medicine che avevi preso, la misurazione della pressione ….. il tutto rallegrato da una “sorta di saluto” e “raccomandazioni” per il prossimo in turno.
E ognuno, di volta in volta, sorrideva perchè – tra le varie considerazioni – erano comprese le tue marachelle, il borbottare per ciò che non volevi fare ma dovevi ed i tuoi momenti in cui domandavi …. quando sarebbe finita.
Ricordo ancora le tue suppliche: "dammi una mano", "aiutami".
>Maria, io non posso fare nulla, e nella confusione più totale ti chiedevo di rivolgerti a Carlo, tuo marito< Forse lui poteva prenderti per mano.
Con il tempo si rese necessaria la collaborazione di una persona che si prendesse cura di te, compito difficile…. perché doveva essere di tuo gradimento.
Cristina, "badante" polacca madre di 4 figli, è stata una gran brava signora, disponibile e generosa; ancora oggi sono in contatto con lei e rammenta sempre con affetto il periodo trascorso in casa tua e la stima che le abbiamo dimostrato.
Con te non è stata a lungo, le tue condizioni pian piano son andate peggiorando, poi il ricovero quando ormai a casa non si poteva fare di più, era ben altra l’assistenza di cui avevi bisogno in quel momento.
Trasparente la tua consapevolezza di un viaggio senza ritorno, ma quell’ambulanza andandosene mi lasciò nel più amaro sconforto.
Quella mattina molto presto, quando squillò il telefono e xxx, una delle tue figlie che ti era accanto, mi disse “la mamma si è aggravata”, corsi in pigiama all’ospedale.
L’ossigeno ti aiutava a respirare ma non rispondevi quasi più, xxx ti sentì il polso, era debolissimo, Allora con tutta la mia forza e le lacrime che mi scendevano le dissi:
“abbracciala, falle sentire il tuo contatto affinché non abbia paura”; lei ti sente, sai,  abbracciala forte come lei abbracciò te quando nascesti.
Poi ti abbracciammo insieme e son sicura che tu sentivi il nostro contatto anche se non potevi esprimerti.
Mi resta nel cuore quell’unione serena che ti accompagnò alla partenza senza averne paura.
Per questo, forse, sento la tua mancanza in modo diverso, ero accanto a te e, come quando potevi sentirmi, ti dichiarai il mio affetto
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Angela