Alcune di queste sono foto di foto quindi, non perfette.
Fanno parte dei miei ricordi, uscite con amici accanto ai quali ho camminato davvero tanto che mi hanno
fatto conoscere posti che neppure immaginavo.
Ho imparato a rispettare la natura, a parlar sotto voce nei boschi, a tacere per sentir solo il fruscio delle foglie
secche al nostro passaggio, ad odorare il muschio, ad ammirare le tante specie di “abitanti” di quei luoghi
protetti e non contaminati dall’uomo. E’ stato un periodo bellissimo e molto intenso. Molto inteso davvero.
Se solo penso che non facevo due passi a piedi mi sembra di aver conquistato il mondo.
I luoghi che ho visto sono davvero raggiungibili solo a piedi con lo zaino in spalla e tanta tanta volontà.
Non smetterò mai di ringraziarli per le meraviglie che ho potuto ammirare con i miei occhi, per aver vinto la paura nelle camminate quando si avanzava solo mettendo un piede avanti all’altro. Da una parte la parete e dall’altra il vuoto.
Mi hanno presa per mano, confortata e aiutata a proseguire. Quanta energia ho messo!!! E quanta pazienza loro!
Mi congratulo da sola per ciò che son riuscita a fare.
Ho scoperto di amare gli alberi, desiderare di abbracciarli a lungo
ho cercato il perché non potevo sottrarmi dal toccarli o infilarmi
nelle loro cavità.

 

Ora qualcosa ho scoperto riguardo al mio amore per gli alberi
qualcosa so del mio abbracciarli
 
Abbracciare gli Alberi per Curarci


Abbracciare gli alberi fa bene

 

Favola ( Eros Ramazzotti)

E raccontano che lui si trasformò
in albero e che fu per scelta sua che si fermò
e stava lì a guardare la terra partorire fiori nuovi così
fu nido per conigli e colibrì il vento gl'insegnò i sapori 
di resina e di miele selvatico e pioggia lo bagnò
la mia felicità - diceva dentro se stesso -
ecco... ecco... l'ho trovata ora che
ora che sto bene
e che ho tutto il tempo per me non ho più bisogno di nessuno
ecco la bellezza della vita che cos'è  "ma un giorno passarono di lì
due occhi di fanciulla  due occhi che avevano rubato al cielo
un po' della sua vernice"  e sentì tremar la sua radice
quanto smarrimento d'improvviso dentro sé
quello che solo un uomo
senza donna sa che cos'è
e allungò i suoi rami per toccarla
capì che la felicità non è mai la metà
di un infinito  ora era insieme luna e sole
sasso e nuvola era insieme riso e pianto
o soltanto era un uomo che cominciava a vivere
ora, era il canto che riempiva la sua grande
immensa solitudine era quella parte vera
che ogni favola d'amore racchiude in sé
per poterci credere

 






Avete mai amato un albero?
Se avete mai amato una foresta o un albero, saprete sicuramente che esistono alberi che nonostante siano marciti completamente, ingannano tutti e vivono per raccontare e insegnare i loro grandi ritorni alla vita. 
La mia famiglia ha sempre rispettato un'antica tradizione contadina che distingueva gli alberi per il legname dagli alberi del bosco.
Gli alberi giganti della Natura erano considerati diversi... Gli alberi della foresta non dovevano essere abbattuti, perché i grandi alberi erano i veri custodi spirituali del villaggio.
Gli alberi custodi riparavano il villaggio dalla canicola estiva. 
Interrompevano la corsa del vento durante i temporali.
Trattenevano le raffiche di neve nei solchi della loro corteccia per evitare che la neve seppellisse le piccole fattorie e mettesse e repentaglio la vita.
I vecchi alberi davano una serena e calma felicità del cuore a tutti coloro che li vedevano o che vi si appoggiavano contro.
E dunque, i vecchi alberi, come gli anziani del villaggio, non erano mai abbattuti né abbandonati al loro destino.
Ma erano altri tempi. E quello era un momento in cui qualcuno dimentica che la Natura non è un'estranea, ma una persona di famiglia.
L'albero della grande madre: il riposo sotto la sua ombra; la luce delle stelle che filtra attraverso i suoi rami della notte; un'anima su cui potersi appoggiare; un conforto donato dall'ineguagliabile serenità del rumore del vento nelle sue foglie melodiose. Un luogo dove gli innamorati potevano attardarsi, un tronco su cui appoggiarsi e piangere, una cupola di rami e foglie sotto la quale le anime gemelle potevano parlare in pace.
Le piante non sono seminate. Sono evocazione. Risorgono dalla scintilla d'oro
.

La donna è come un grande albero che grazie alle sue capacità di muoversi invece di rimanere immobile, può sopravvivere alle tempeste e ai pericoli più terribili, e rimanere ancora in piedi; e ritrovare ancora il suo modi di ondeggiare nel vento, di continuare la danza.
Tratto da "La danza delle grandi madri" C.P.Estes

Sin dall'antichità l'albero era considerato l'origine dell'uomo, ossia sorgente di vita.
Gli alchimisti chiamavano "utero" la spaccatura o la cavità del tronco.
La chioma è il nume della pianta.
La quercia che rappresenta il mondo degli elementi e si trova in un giardino celeste, dove il Sole e la Luna sono circondati come se fossero due fiori.
La quercia alata di Ferecide che era rivestita di un mantello col cappuccio come una donna. La veste è un attributo di Artemide.
La quercia rappresenta il numen femminile.
La quercia è l'albero di Giove ma è anche sacro a Giunone.
In senso traslato, in quanto elemento femminile, la quercia è portatrice della proiezione dell'Anima...è la coniunx o donna amata.
Le ninfe, le diadri ecc.. sono, in senso mitologico, numina della natura o degli alberi.
Tratto da "Mysterium Coniunctionis" di C.G.Jung

Preso dal web

Favola d'amore di Hermann Hesse

Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo e donna. Pictor salutò l'albero con riverenza e chiese: "Sei tu l'albero della vita?". Ma quando, invece dell'albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita.
E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna. Pictor chiese:"Sei tu l'albero della vita?".
Il sole annuì e sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e non sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda ninna nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell'infanzia, il suo dolce profumo risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come la resina e di miele, ma anche come di bacio di donna.
Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva verso l'ignoto, verso il magicamente prefigurato.
Pictor scorse un uccello sull'erba posato e di luminosi colori ammantato, di tutti i colori il bell'uccello sembrava dotato. Al bell'uccello variopinto egli chiese:"Uccello, dove è dunque la felicità?"
"La felicità?" disse il bell'uccello e rise con il suo becco dorato, "la felicità, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli".
Con queste parole l'uccello spensierato scosse le sue piume, allungò il collo, agitò la coda, socchiuse gli occhi, rise un'ultima volta e poi rimase seduto immobile, seduto fermo sull'erba, ed ecco: l' uccello era diventato un fiore variopinto, le piume si erano trasforma in foglie, le unghie in radici. Nella gloria dei colori, nella danza e negli splendori, l'uccello si era fatta pianta. Pictor vide questo con meraviglia.
E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le sue foglie e i suoi pistilli, già era stanco del suo essere fiore, già non aveva più radici, scuotendosi un po' si innalzò lentamente e fu una splendida farfalla, che si cullò nell'aria, senza peso, tutta di luce soffusa, splendente nel viso. Pictor spalancò gli occhi dalla meraviglia.
Ma la nuova farfalla, l'allegra variopinta farfalla-fiore-uccello, il luminoso volto colorato volò intorno a Pictor stupefatto, luccicò al sole, scese a terra lieve come un fiocco di neve, si sedette vicino ai piedi di Pictor, respirò dolcemente, tremò un poco con le ali splendenti, ed ecco, si trasformò in un cristallo colorato, da cui si irraggiava una luce rossa. Stupendamente brillava tra erba e piante, come rintocco di campana festante, la rossa pietra preziosa. Ma la sua patria, la profondità della terra, sembrava chiamarla; subito incominciò a rimpicciolirsi e minacciò di scomparire.
Allora Pictor, spinto da un anelito incontenibile, si protese verso la pietra che stava svanendo e la tirò a sé.
Estasiato, immerse lo sguardo nella sua luce magica, che sembrava irraggiarli, nel cuore il presentimento di una piena beatitudine.
All'improvviso, strisciando sul ramo di un albero disseccato, il serpente gli sibilò nell'orecchio: "la pietra ti trasforma in quello che vuoi. Presto, dille il tuo desiderio, prima che sia troppo tardi!".
Pictor si spaventò e temette di vedere svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si trasformò in un albero. Giacché più di una volta aveva desiderato essere albero, perchè gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità.
Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l'alto, foglie e rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò nelle fresche profondità della terra e con le sue foglie sventolò alto nell'azzurro. Insetti abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi rami gli uccelli.
L'albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a guardare con occhi d'albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste.
Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai spesso, che tutto anzi correva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più di un albero scomparire all'improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando. Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori.
Lui invece, l'albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. dal momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell'aspetto stanco, serio afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere anche tutti i giorni nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli essere: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo sprofondano nella tristezza e nell'abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dalla veste azzurra si perse in quella parte del paradiso. Cantando e ballando la bionda fanciulla correva tra gli alberi e prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione. Più di una scimmia sapiente sorrise al suo passaggio, più di un cespuglio l'accarezzò lieve con le sue propaggini, più di un albero fece cadere al suo passaggio un fiore, una noce, una mela, senza che lei vi badasse.
Quando l'albero Pictor scorse la fanciulla, lo prese un grande struggimento, un desiderio di felicità come non gli e ancora mai accaduto. E allo stesso tempo si trovò preso in una profonda meditazione, perchè era come se il suo stesso sangue gli gridasse: "Ritorna in te! Ricordati in questa ora tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità". Ed egli ubbidì.
Rammemorò la sua origine, i suoi anni di uomo, il suo cammino verso il paradiso, e in modo particolare quell'istante prima che si facesse albero, quell'istante meraviglioso in cui aveva avuto in mano quella pietra fatata. Allora, quando ogni trasformazione gli era aperta, la vita in lui era stata ardente come non mai! Si ricordò dell'uccello che allora aveva riso e dell'albero con la luna e il sole; lo prese il sospetto che allora avesse perso, avesse dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono.
La fanciulla udì un fruscio tra le foglie dell'albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì, con un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi sogni muoversi dentro di lei. Attratta dalla forza sconosciuta si sedette sotto l'albero. Esso le appariva solitario, solitario e triste, e in questo bello, commovente e nobile nella sua muta tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al suo tronco ruvido, sentì l'albero rabbrividire profondamente, sentì lo stesso brivido nel proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano pesanti lacrime. Cosa stava succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario? L'albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni forza vitale, proteso verso la fanciulla, in un ardente desiderio di unione. Ohimè, perché si era fatto raggirare dal serpente per essere confinato così, per sempre, solo in un albero! Oh, come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal senso della vita? No, anche allora aveva sentito e presagito, ohimè! E con dolore e profonda comprensione pensò ora all'albero che era fatto uomo e donna!
Venne volando un uccello, rosso e verde era l'uccello, ardito e bello, mentre descriveva nel cielo un anello. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco qualcosa che brillò rosso come sangue, rosso come brace, e cadde tra le verdi piante, il richiamo squillante della sua rossa luce era tanto intenso, che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era un cristallo, un rubino, ed intorno ad esso non vi può essere oscurità.
Non appena la fanciulla ebbe preso la pietra fatata nella sua mano bianca, immediatamente si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa, svanì e divenne tutt'uno con l'albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui.
Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine, solo ora era stato trovato il paradiso, Pictor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Pictoria. Vittoria. Era trasformato. E poiché questa volta aveva raggiunto la vera trasformazione, perché da una metà era diventato un tutto, da quell'istante poté continuare a trasformarsi, tanto quanto voleva. Incessantemente il flusso fatato del divenire scorreva nelle sue vene, perennemente partecipava della creazione risorgente ad ogni ora.
Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. In ogni forma però era intero, era una "coppia", aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva come fiume gemello per terre stava come stella doppia in cielo.
Hermann Hesse

 

     

Io conosco le emozioni che mi danno
e ciò che sento accanto a loro.

 

Alessio mi ha concesso di pubblicare una sua foto
alla quale ho aggiunto un pensiero


Sai per quale motivo la quercia conserva le foglie, seppure secche, fino all'arrivo della primavera?



                     

     

Ogni volta che ti sentirai smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere,
Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici,
viene sradicato al primo soffio di vento,
mentre in un albero con molte radici e poca chioma, la linfa scorre a stento.
Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose, e starci sopra,
solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e di frutti...
da "va dove ti porta il cuore"

 
 

 

Gite

 

 

 

         
   
         
         
   
         
   
         
   
         

         
    foresta del casentino    
         

foresta del casentino

         
         
    Castagneto    
         
   
         
         

   
   
   
   

   

   

   

   

   

   

         
 

Parco Tozzoni


(24.03.2007) Già Parco del Monte, dell'estensione di 83.490 mq, ubicato in posizione pedecollinare a sud-est della città. Esso deve il suo nome ad una nobile famiglia imolese che, a partire dal 1880, acquistò un terreno già adibito a querceto, e lo ampliò secondo gli schemi del cosiddetto parco all'inglese; dal 1978 fa parte del patrimonio della città.
La varietà della composizione arborea risente della storia del parco stesso, e presenta accanto alla tipica vegetazione autoctona (querce, alcune delle quali centenarie, aceri, sorbi, corbezzoli, olmi, tigli, lecci, tassi) anche esemplari importati come il ginepro della Virginia, il pino, l'abete, la sequoia, il cedro, il cipresso. Anche la composizione arbustiva è molto varia e di notevole pregio: troviamo viburni, biancospini, cornioli, filadelfi, laurocerasi, filliree, sambuchi, bambù, nespoli del Giappone e caprifogli.
Nelle ampie macchie libere da vegetazione arborea ed arbustiva, si trovano prati ricchi di piante erbacee decorative tra cui l'achillea, la pervinca, il ciclamino, la centaurea minore, la melissa, l'equiseto e l'erba cipressina.
E' possibile usufruire di aree attrezzate per i giochi dei bambini e seguire il "Percorso vita", un tracciato per il footing attrezzato con diversi strumenti ginnici.

         
   
   
   
   
   
   
   
Altri alberi
   
   
   
   
   
Alberi di casa
   
   
   
   
Casette di Tiara
   
   
   
         

 

Un regalo di mia figlia che nel Gargano ha fotografato alberi, poi mi ha concesso di pubblicare le foto ironizzando:
..... Mah .... chissà da chi ho ereditato
L'amore per gli alberi ?

 

 

 

         

 

 

         

 

         

 

 

         
 

Trasformismo della natura

 

Floriano mi racconta che transitando in macchina per una strada di periferia rimane colpito da lavori di sbancamento che avevano coinvolto anche tantissimi alberi di ulivo, ovviamente abbattuti e ridotti in pezzi con l'ausilio di motoseghe. Si è fermato sul ciglio della strada e sceso dalla vettura, nel campo ormai devastato, una persona (risultata essere il proprietario del suolo), era intento a raccogliere e depositare quei poveri resti sul proprio camioncino per poi venderli come legna da ardere.

Confesso che col cuore sanguinante, ho preteso che mi vendesse un pezzo di quella vita ingiustamente stroncata del peso di circa 100 kg., depositandola nel bagagliaio della mia auto".
Avevano circa 160 anni ha commentato, ma erano ancora forti e produttivi, io ho preferito il danaro, in fondo erano solo alberi, nulla di importante.
Sono andato via senza neppure rivolgergli un saluto, riprendendo mestamente la strada del rientro.
Mentre ero alla guida e sentivo il gradevole profumo d'ulivo che ancora emanava, già immaginavo a come trasformare quel resto di natura in modo che in qualche maniera, potesse continuare a rappresentare la sua lunga esistenza.
La figura che è nata dal mio lavoro è quella del busto di un puledro dallo sguardo stravolto e rabbioso per avere subito quella ingiusta sorte, la mia consolazione conservare almeno un suo ricordo.
Io sono del parere che sì lo sguardo è rabbioso per aver perso la vita ma anche riconoscente per non essere stato arso ma trasformato in un'entità che non avrà fine.

Sei stato bravissimo Floriano
gli hai ridato vita.